Verso la fine dgli anni ’80, una delle più belle lezioni del Prof. Baldeschi, urbanista all’ Università di Firenze, riguardava per l’ appunto il bucato messo ad asciugare.
Dopo averci fatto ragionare a lungo sulla città, sulla sua dinamica di sviluppo più o meno corretta (o perversa), sul modo di progettarla, immaginarla, sperarla, alla fine Baldeschi ci mostrava una serie di diapositive che rappresentavano svariate opere di architettura costruite da autori di solito molto famosi.
Oltre ad essere tutte già realizzate, queste opere avevano un comune denominatore, non erano cioè fotografate con l’ occhio ruffiano della rivista o del libro di architettura, ma con quello realista del passante per strada.
Ecco quindi apparire il filo con i panni stesi, l’ armadietto di metallo e la scarpiera sul balconcino, la caldaia e la veranda abusiva in alluminio, le mensole con le piante e le ciabatte appoggiate ad asciugare.
Tutti aspetti del vivere quotidiano tipicamente italiano, ma non solo ovviamente, che il progettista spesso dimentica, tutto preso dalle sue speculazioni intellettuali, o dei quali semplicemente non si interessa, convinto com’è che la sua opera debba essere giudicata ad un livello superiore.
Chissà, forse invece misurarsi anche con questo tipo di problemi già nella fase progettuale potrebbe evitare le storture del dopo costruito e, in certi casi, rendere esteticamente più gradevole guardare le architetture anche mentre vengono utilizzate, e non solo quando vengono pubblicate.Alessandro Pretini e Francesca Nuti
Dopo averci fatto ragionare a lungo sulla città, sulla sua dinamica di sviluppo più o meno corretta (o perversa), sul modo di progettarla, immaginarla, sperarla, alla fine Baldeschi ci mostrava una serie di diapositive che rappresentavano svariate opere di architettura costruite da autori di solito molto famosi.
Oltre ad essere tutte già realizzate, queste opere avevano un comune denominatore, non erano cioè fotografate con l’ occhio ruffiano della rivista o del libro di architettura, ma con quello realista del passante per strada.
Ecco quindi apparire il filo con i panni stesi, l’ armadietto di metallo e la scarpiera sul balconcino, la caldaia e la veranda abusiva in alluminio, le mensole con le piante e le ciabatte appoggiate ad asciugare.
Tutti aspetti del vivere quotidiano tipicamente italiano, ma non solo ovviamente, che il progettista spesso dimentica, tutto preso dalle sue speculazioni intellettuali, o dei quali semplicemente non si interessa, convinto com’è che la sua opera debba essere giudicata ad un livello superiore.
Chissà, forse invece misurarsi anche con questo tipo di problemi già nella fase progettuale potrebbe evitare le storture del dopo costruito e, in certi casi, rendere esteticamente più gradevole guardare le architetture anche mentre vengono utilizzate, e non solo quando vengono pubblicate.Alessandro Pretini e Francesca Nuti